La crisi della rappresentanza, il sentimento “anticasta” dei cattolici ormai irrilevanti, la vittoria dei leader. «Non serve un partito ma una nuova ala moderata. E per “moderata” penso a Trump». Intervista a Eugenia Roccella (IDEA).
«Il 4 marzo si è verificato un terremoto politico, che ha spazzato via le vecchie culture politiche. In questo grande cambiamento, però, non è emerso un nuovo riferimento forte per i cattolici. Ha ragione chi sostiene che oggi i cattolici sono più irrilevanti che mai. I riferimenti politici non ci sono più, nemmeno sul piano di figure singole, e il voto cattolico è polverizzato. Gli elettori sono molto confusi. Sono pochi, ormai, quelli che votano secondo i criteri della dottrina sociale della Chiesa, o per difendere i princìpi non negoziabili: piuttosto si vota in base ad altre appartenenze e urgenze, altri temi; gli stessi temi che sono entrati con forza nel dibattito politico e hanno orientato tutto l’elettorato». Eugenia Roccella lo ha ricordato molte volte, «meglio contestati che irrilevanti», come diceva Camillo Ruini quando era presidente della Cei, e lei lo ha ribadito in campagna elettorale correndo con Nci per difendere con forza quei princìpi sui quali la sua stessa coalizione non si presentava in modo compatto e convincente. A perdere le elezioni è stata alla fine l’intera «area moderata della politica, in cui tradizionalmente si collocavano i cattolici, a destra come a sinistra. Distrutta, dissolta. E badi che “moderata” è un termine equivocato: non parlo della moderazione come stile, o di un “centrismo” troppo spesso opportunistico, fondato sulla politica dei due forni, ma di una cultura politica di governo, riformatrice, realista, capace di guardare lontano, fortemente orientata al bene comune e con criteri di discernimento solidi alle spalle. Per essere più chiari, il presidente Trump, considerato da molti un populista e un estremista, a causa del suo stile di comunicazione e di intervento pubblico, io lo ritengo invece un moderato: lo è come realismo del programma (che infatti sta attuando punto per punto), come visione del paese, come forte consapevolezza degli obiettivi da raggiungere».
HANNO VINTO I LEADER. Chi ha vinto quindi? Hanno vinto i nuovi leader, che hanno distrutto la vecchia forma-partito, ma insieme hanno messo in crisi la rappresentanza democratica. Spiega Roccella: «Non c’è soltanto un dissolvimento delle culture politiche in campo, sia quelle storiche che quelle più recenti. C’è anche una crisi del concetto stesso di rappresentanza, che invece è il cuore dalla democrazia». Anche fra i cattolici, per esempio, si è diffusa una sensibilità genericamente “anticasta”, un atteggiamento negativo nei confronti del parlamento e dei politici in genere, «temi “facili”, di grande impatto, che hanno indebolito la rappresentanza, e hanno rafforzato, nel momento in cui i partiti sono in rotta, il potere verticale della leadership e dei vari “cerchi magici”». Pensiamo solo al sistema di selezione dei Cinquestelle, all’elusione totale dei meccanismi democratici che indebolisce fino quasi ad annullare il legame tra elettore ed eletto. Confrontandoci ancora con gli Usa, «vediamo che in America questo rapporto è stato invece rafforzato: Trump ha allargando la partecipazione democratica, e i suoi sostenitori hanno usato il web e i social media dal basso, per rompere l’accerchiamento e la censura di giornali e tv, tutti schierati contro Trump e a favore della Clinton. I Cinquestelle usano il web in modo completamente diverso, direi opposto, partendo dall’alto e non dal basso».
IL NODO DELLA PRECARIETÀ. Per Roccella siamo davanti a uno scenario completamente nuovo, gli italiani si sono radicalizzati rifugiandosi nella protesta, è cambiata la situazione economica, antropologica e sociale, «il problema era cogliere la novità e saperla interpretare, e questo non è stato fatto da nessuno, dai corpi intermedi men che meno. Le culture politiche sono invecchiate senza adeguarsi, fino ad essere rifiutate in blocco». Sono vent’anni, per esempio, che si dibatte di conflitto generazionale, si ripete che queste saranno le prime generazioni che non possono sperare in un futuro migliore dei padri, che non avranno pensioni e sicurezza, ma nessuno ha saputo e voluto dare risposte. Si parla molto di precarietà, di società liquida, ma nessuno ha messo in campo proposte efficaci e fattibili. Faccio un esempio: finalmente la questione dell’inverno demografico è al centro del dibattito, ma le soluzioni proposte sono ancora tutte solo di tipo socio-economico. Eppure si sa che i paesi poveri, come l’Africa, fanno più figli dei ricchi, e che i paesi europei sono tutti sotto il cosiddetto tasso di sostituzione (2,1 figli per donna): lo sono la Svezia e la Francia, dove c’è da tempo un welfare importante in aiuto della genitorialità, lo è la ricca Germania, dove il tasso di disoccupazione è il più basso del continente. Uno dei motivi per cui facevamo figli in condizioni molto meno economicamente tranquille era sì la stabilità del lavoro, ma anche, forse soprattutto, la stabilità delle relazioni: il matrimonio durava tutta la vita e dava la sicurezza di un appoggio solido e certo. Insomma, le ragioni per cui non si fanno figli sono anche culturali, non solo economiche, il nocciolo della questione è un diffuso senso di precarietà, che investe tutti gli aspetti della vita, anche quelli privati. E nessuno ha saputo affrontarla».
IL PARADIGMA TRUMP. Roccella torna ancora all’esempio di Trump e alla sua capacità di intervenire sui lati negativi della globalizzazione per combattere la precarietà ed esprimere una cultura politica adeguata ai nuovi tempi. E aggiunge: «La stessa dottrina sociale della Chiesa, che è estremamente contemporanea, non è stata tradotta in proposta politica adeguandola ai tempi nuovi. È mancata soprattutto una forte consapevolezza e responsabilità dei laici cattolici; c’è chi ha votato pensando a vita e famiglia, chi pensando all’accoglienza e allo Ius soli, chi ha visto nei Cinquestelle il rinnovamento che si aspettava. È mancata un’offerta chiara nei confronti dei cattolici. Perché il voto si orienti ci deve essere un’offerta, una proposta convincente. Ma questo non significa un partito dei cattolici. Io credo vada ricostruita un’area moderata e che vada ricostruita nel centrodestra. La sinistra è in crisi in tutta Europa, incapace di uno sforzo di ripensamento di se stessa, tentativo che Renzi ha compiuto in maniera del tutto superficiale e con i risultati disastrosi che abbiamo visto. Nel centrodestra la possibilità di un rapporto con gli elettori significativo e attrattivo c’è. Le basi per rinnovare una cultura politica a partire dalla dottrina sociale, ci sono. Il popolo cattolico è pronto a mobilitarsi, basta pensare alla battaglia sollevata per il piccolo Charlie Gard, una battaglia nata tutta dal basso, senza leader, senza alcun cappello partitico. Ma questa alternativa va letteralmente ricostruita».
Tratto da Tempi, intervista di Caterina Giojelli