Caso Consip, segnaliamo l’ articolo “La vera storia della mozione Consip” a firma del presidente di IDEA, Gaetano Quagliariello, pubblicato oggi sull’Huffington Post.
Il dibattito in Senato sul caso Consip ha avuto un effetto collaterale: mi ha reso chiaro cosa siano le fake news. Si è detto: “L’opposizione ha salvato Lotti!”. In realtà martedì non si è mai votato su Lotti, dal momento che la mozione che chiedeva il ritiro delle sue deleghe è stata dichiarata inammissibile perché il Senato si era già espresso su una mozione di sfiducia nei confronti del ministro dello Sport.
Si è detto: “L’opposizione ha salvato il governo!”. In realtà l’opposizione ha costretto il governo alla più clamorosa delle retromarce costringendolo a fare ciò che per tre mesi si era rifiutato di fare. Si è detto: “L’opposizione ha salvato la maggioranza!”. In realtà la prima mozione approvata è stata quella dell’opposizione, e solo successivamente ne è passata una della maggioranza che la maggioranza aveva copiato dall’opposizione per paura di andare sotto.
Poiché la discussione andata in scena a Palazzo Madama è stata il culmine di una lunga battaglia iniziata da “Idea”, mi sta particolarmente a cuore ricostruire i fatti affinché sia chiaro che se c’è uno sconfitto – e uno sconfitto c’è! – questo è il governo, costretto ad alzare bandiera bianca per mano di una opposizione rigorosa.
Per capire come la partita sia andata a finire, è bene ricordare com’è che è cominciata. La mozione originaria per l’azzeramento dei vertici Consip, promossa da “Idea” su iniziativa di Andrea Augello e sottoscritta da esponenti della stragrande maggioranza dei gruppi di opposizione (ben settantatré firme), è stata presentata in Senato i primi di marzo, nel giorno in cui l’Aula aveva respinto una mozione di sfiducia nei confronti del ministro Lotti che fin dall’inizio tutti sapevano non avere alcuna possibilità di essere approvata.
In quel frangente, il governo si era prodotto in un’ardita contorsione acrobatica: difendere Lotti, accusato dall’amministratore delegato di Consip Luigi Marroni di essere una delle “gole profonde” che gli avevano spifferato l’esistenza di indagini in corso (rivelazione a seguito della quale Marroni aveva fatto bonificare il suo ufficio rimuovendo le microspie piazzate dalla magistratura e compromettendo irrimediabilmente l’inchiesta), e allo stesso tempo proteggere Marroni, nonostante le conclamate violazioni del codice etico Consip emerse dalle sue dichiarazioni pubbliche, per timore che potesse tirar fuori i “sassolini” che da tempo va dicendo di avere nelle scarpe.
Insomma: il governo ha pensato di poter stare allo stesso tempo con l’accusatore e con l’accusato, con il presunto calunniatore e con il sedicente calunniato. Una contraddizione insostenibile, dalla quale è nata la mozione di “Idea” che aveva fondamentalmente un duplice scopo: costringere l’esecutivo a fare i conti con le proprie antinomie, e rendere Marroni finalmente libero di dire tutto ciò che sa.
Per oltre cento giorni la maggioranza ha cercato di impedire che la mozione venisse calendarizzata. Dal canto suo il ministro Padoan, terminale istituzionale della Consip di cui il ministero dell’Economia è socio unico, si è presentato in ogni dove a dire “Marroni non si tocca”, blindando così il disinvolto management renziano ai vertici della più grande stazione appaltante dello Stato.
La prima battaglia vinta è stata dunque la calendarizzazione della mozione. Ma la storia non finisce qui. Con l’approssimarsi del 20 giugno, data stabilita per il dibattito in Senato, è arrivato il colpo di scena. Il Pd, temendo di restare travolto, dopo tre mesi di strenua resistenza ha fatto inversione a “U”, ribaltando la propria posizione e presentando una propria mozione sull’azzeramento dei vertici Consip, sostanzialmente mutuata da quella delle opposizioni. Nelle stesse ore anche il ministro Padoan “cambiava verso”: dopo aver blindato Marroni in ogni sede, addirittura respingendo due sue offerte di dimissioni, è andato in pressing sui vertici della società convincendo la maggioranza dei consiglieri di amministrazione (Marroni escluso) a lasciare, condannando il cda alla decadenza.
Per noi, si è trattato di una partita vinta prima ancora di scendere in campo. L’esecutivo ha capitolato, un importante terminale del potere renziano è stato smantellato, e la maggioranza parlamentare è stata costretta a inseguire le opposizioni. Non paghi dello smacco subìto, la mattina della discussione delle mozioni Padoan e il Pd si sono prodotti in un estremo tentativo di impedire il dibattito parlamentare. Anche questo respinto con perdite.
Chiarito dunque che l’opposizione non ha aiutato la maggioranza ma l’ha piegata e sconfitta, resta da spiegare perché non è vero che la battaglia di Palazzo Madama si sia risolta con il salvataggio di Luca Lotti e di Matteo Renzi. Tutt’altro.
In discussione al Senato non c’era la sorte di Luca Lotti. La mozione di Mdp che chiedeva il ritiro delle sue deleghe è stata infatti dichiarata inammissibile dal presidente Grasso. Nessun voto ha dunque riguardato il ministro dello Sport. Già che ci siamo, tuttavia, vorrei dire ai colleghi di Mdp – persone che stimo e fra le quali annovero anche diversi amici personali – che visto il precedente di marzo, e vista la difficoltà nella quale eravamo riusciti a cacciare la schiera renziana, probabilmente riproporre in questa sede una mozione incentrata su Lotti (che nel nostro testo era comunque abbondantemente menzionato) e soprattutto spezzare il fronte delle opposizioni votando contro la mozione Augello, è stata una ingenuità politica che ha avuto il solo effetto di distogliere l’attenzione dal risultato ottenuto e consentire agli sconfitti di atteggiarsi a vincitori e come tali essere presentati alla pubblica opinione.
I resoconti mediatici della giornata, alcuni dei quali addirittura surreali, sono stati infatti falsati da un elemento – la sorte di Lotti – che per decisione procedurale della presidenza del Senato non è mai stata messa né in discussione né in votazione.
Per quanto ci riguarda, so bene che se avessimo badato più alla furbizia che alla sostanza, e ci fossimo premurati non del risultato politico ma della sua resa giornalistica, sarebbe stato più conveniente andare allo scontro sulla mozione del Pd. Ma la verità è che la mozione del Pd è stata una vittoria delle opposizioni, che hanno costretto la maggioranza ad accordarsi a loro. Dopo aver votato la mozione Augello, ben più incisiva, approvandola per prima con il concorso della stragrande maggioranza delle opposizioni, sarebbe stato schizofrenico votare contro una sua imitazione.
Checché se ne dica, questa battaglia ha prodotto per noi, fieri oppositori del renzismo, un risultato lusinghiero. Abbiamo costretto il governo ad azzerare i vertici della Consip, piazzati lì in tempo di renzismo trionfante e dimostratisi non sufficientemente distanti dalle conventicole di potere che negli ultimi tre anni hanno monopolizzato ogni spazio vitale del nostro Paese.
Abbiamo messo il dottor Marroni nelle migliori condizioni per dire tutto ciò che sa agli inquirenti (e che sappia qualcosa di ancora non detto è stato lui stesso a farlo intendere). Infine, abbiamo smontato il tentativo di ribaltare la narrazione sul caso Consip: il tentativo di far credere che questa brutta vicenda si esaurisca con le presunte manipolazioni ai danni di Tiziano Renzi.
Sia chiaro: se quelle manipolazioni ci sono state, si tratta di un fatto gravissimo sul quale si dovrà andare fino in fondo. Ma il caso Consip non finisce lì. È molto altro. È una clamorosa fuga di notizie che ha azzoppato l’inchiesta. È una storia di “relazioni pericolose” tra manager di Stato, affaristi, faccendieri, centrali di potere politico. Insomma, è la quintessanza del renzismo. E noi abbiamo fatto in modo che gli italiani lo ricordassero dopo che Renzi aveva cercato di farlo dimenticare.