Sul suo blog dell'”Huffington Post”, il presidente di IDEA Gaetano Quagliariello spiega la missione del “quarto polo” nel centrodestra e i motivi per i quali “vale la pena provarci”.
Di seguito il testo completo dell’articolo (leggi qui):
Il quarto polo del centrodestra – quello che mette insieme, tra gli altri, l’Udc, i gruppi coagulati da Raffaele Fitto, “Idea” – è innanzi tutto frutto della necessità. La nuova legge elettorale, imperniata sulle coalizioni e con uno sbarramento di lista al 3%, impone a partiti e movimenti estranei alle tre formazioni classiche di mettersi insieme. È accaduto anche nel centrosinistra, in maniera ancora più evidente: basti dare uno sguardo al simbolo “petaloso” della Lorenzin, con satelliti incorporati. Il problema, dunque, non è negare la natura “necessitata” dell’aggregazione; è comprendere se “dal caso e dalla necessità” possa scaturire qualcosa d’importante.
Iniziamo dal simbolo di questo quarto polo. È composto da uno slogan e da uno stemma: “Noi con l’Italia” e lo scudo della Dc. Enfaticamente, lo si potrebbe definire un connubio tra novità e tradizione. Forse, però, c’è qualcosa di più serio da notare. Lo scudo crociato è stato infatti l’emblema del più grande partito di coalizione mai esistito nell’Italia repubblicana. La Dc era un mondo nel quale, con l’aiuto determinante del cosiddetto “fattore K”, convivevano (e si rispettavano) anime differenti. Per una sorte di nemesi storica, tuttavia, durante la “seconda Repubblica” quel simbolo è divenuto divisivo. Se lo sono conteso, in particolare, le due principali correnti ideali del glorioso antenato: quella “dossettiana”, che ha subito l’attrazione fatale della sinistra, e quella degasperiana, che ha sperimentato un rapporto difficile e non scontato con il berlusconismo.
Alle elezioni del prossimo 4 marzo, per la prima volta, quel simbolo comparirà soltanto sul versante del centrodestra. È il portato della fine del bipolarismo, decretata dalla presenza ormai non più episodica del Movimento 5 stelle. E ancor di più è il portato della definitiva trasformazione del Pd, come da vaticinio di Augusto Del Noce, in un grande partito radicale di massa. Non è un caso che il leader di quel partito, nel tracciare un rendiconto della legislatura appena conclusa, citi tra i suoi massimi (presunti) successi l’approvazione della legge sulle unioni civili e di quella sul testamento biologico.
Il fatto che l’anima degasperiana abbia vinto la partita dell’eredità appartiene tuttavia ai conti col passato: pratica importante e necessaria ma non fra le più fruttuose in termini di aggregazione del consenso elettorale. Il problema, piuttosto, è se ci sarà qualcuno nel cosiddetto “quarto polo” in grado di trasformare tutto ciò in una visione per il futuro, che traduca nel contesto odierno quel patrimonio di coraggio, di non scontata laicità, di capacità di costruzione che è stato il cuore del degasperismo nell’immediato dopoguerra.
Queste elezioni cadono infatti in un momento particolare. Dopo una crisi economica durata nove anni – il doppio di una guerra novecentesca – s’inizia a intravedere una pallida luce in fondo al tunnel. In questo tempo, che per tanti nostri concittadini è stato tempo di resistenza e resilienza, si sono però sedimentate ingiustizie e storture sociali che hanno interessato in primo luogo quel ceto medio che è stata la spina dorsale della nostra nazione.
Così come nel 1948, è oggi ora di dare corpo, speranza, entusiasmo a un popolo che deve ripartire. Lo si può fare attraverso promesse irrealizzabili o, invece, individuando le storture di uno stato sociale che in epoca di “gelata” demografica, con la vita che si allunga e la popolazione attiva che diminuisce, le esigenze di cura che si fanno più gravose e le famiglie che sempre meno riescono a rappresentare un ammortizzatore sociale efficace, non può più essere lo stato sociale del Ventesimo secolo. Tutto ciò implica la necessità di darsi un orizzonte ideale e sposare dei princìpi, soprattutto nel momento in cui i princìpi dell’umanesimo occidentale, che si riconnettono anche alle radici cristiane della nostra civiltà, vengono progressivamente scalzati da un politicamente corretto assurto a religione civile del popolo progressista.
Riuscirà nel centrodestra il “quarto polo” ad assolvere a questa missione storica? Non è affatto scontato e, come sovente accade in politica, ci si gioca una possibilità di farcela contro la probabilità di non riuscire. Ma se la possibilità fosse sfruttata, questo esperimento non servirebbe solo a dare qualche punto e un po’ più di equilibrio alla coalizione. Potrebbe contribuire a scavare il solco sul quale il centrodestra potrà fondare di qui al prossimo futuro un percorso unitario non fragile e non occasionale. Tra tante inadeguatezze, ritardi, contraddizioni, vale la pena provarci. Perché la politica, nella sua accezione più nobile, è sempre provare a trasformare tante imperfezioni in una realizzazione possibile.