di Eugenia Roccella – tratto da Avvenire dell’11 ottobre 2018
«In ogni vita fragile e minacciata, Cristo ci sta cercando». È questa forse, nel discorso pronunciato durante l’udienza generale dal Papa sul quinto comandamento «Non uccidere», la frase che più ci interpella, a cui dobbiamo dare risposta. Una risposta che non riguarda solo il singolo ma l’intera comunità, stimolando tutti a interrogarsi su quanto la società in cui viviamo sappia far crescere relazioni davvero umane, come avrebbe detto Sciascia. Ed è facile scoprire come la domanda di protezione e rispetto per la vita vada subito a sbattere contro il muro dei diritti.
Ogni desiderio deve ormai trasformarsi in diritto esigibile, irrigidito in una norma. Sono i famosi ‘diritti insaziabili’, che sembrano anche inarrestabili, poiché nessuno pare avere intenzione di cambiare rotta. In questi giorni si è molto parlato, ancora una volta, della legge sull’aborto. Una tema da sempre lacerante e divisivo, che scatena immediatamente prese di posizione ideologiche, utili per rimarcare l’appartenenza a uno schieramento ma non per compiere una seria verifica, come già avevamo proposto dalle colonne di Avvenire oltre dieci anni fa. Un tagliando alla 194, chiedevamo allora. In concreto, un esame serio e argomentato, dopo tanti anni di applicazione della legge; una richiesta banale, dato che la cultura, i comportamenti, le tendenze, cambiano, e il legislatore ne deve prendere atto, intervenendo per modificare dove serve.
Oggi di anni dal suo varo ne sono passati quaranta, ma la legge sull’interruzione di gravidanza resta un totem intoccabile, a destra come a sinistra. Nessuno vuole andare oltre lo sventolìo di qualche bandiera pro o contro. Basta vedere come dati di fatto documentatissimi siano tranquillamente ignorati. Ad esempio, l’obiezione di coscienza: i periodici attacchi a questa libertà fondamentale, anche da sedi europee, non tengono conto delle informazioni fornite con dovizia di dettagli dalla relazione annuale al Parlamento sulla 194, da cui risulta che il carico di lavoro per i medici che fanno gli aborti sia di 1,6 interventi a settimana. Non si può invocare la famosa critica di Trilussa, secondo cui la statistica fa la media tra chi mangia due polli e chi non ne mangia nessuno: i dati, raccolti dalle regioni in ogni Asl ci dicono che le percentuali sono piuttosto omogenee.
Eppure gli obiettori sono costantemente accusati di essere troppi e di impedire l’accesso all’Ivg. Oppure, basta vedere l’insistenza con cui si propongono come ‘politiche di prevenzione’ la diffusione della contraccezione chimica e l’educazione sessuale, quando i Paesi che sono in testa alle classifiche europee per entrambe le cose, come Svezia o Inghilterra, sono anche quelli con il più alto tasso di abortività. Fake news sull’aborto? Si tratta in realtà di convinzioni ideologiche così diffuse e radicate che i dati di fatto fanno fatica a emergere. E si potrebbe continuare.
Penso alla prima parte della legge, quella sulla prevenzione (l’articolo 2 afferma che i consultori dovrebbero «contribuire a far superare le cause che inducono la donna all’interruzione di gravidanza»), che è stata applicata in sostanza solo dai Centri di aiuto alla vita e dal volontariato cattolico. Invece di riconoscere la generosità con cui spesso i volontari hanno aiutato le donne e le famiglie in difficoltà, li si accusa di essere contro le donne e i loro diritti (vedi la polemica scatenata dalla mozione di Verona). Penso anche alle «condizioni economiche», previste dalla legge come una ragione valida per eliminare una vita.
Assurdo che un welfare degno di questo nome non sappia intervenire per sostenere quelle donne che il figlio lo vorrebbero, ma hanno gravi problemi economici e lavorativi. Insomma, è possibile che di tutto questo si possa discutere non accademicamente né ideologicamente, ma con la seria possibilità di intervenire su una legge vecchia, che di un tagliando avrebbe sicuramente bisogno? Temo, purtroppo, che non sia ancora possibile, e che le leggi che hanno ferito la vita e la famiglia siano destinate a restare lì, indiscutibili e intoccabili, al di là di ogni dato e di ogni argomento ragionevole.