Segnaliamo l’articolo ” L’Ema a Milano? No, non è abbastanza ‘gay friendly’ ” di Alessandro Cornali (responsabile di IDEA per la provincia di Milano), pubblicato dal giornale on line l’Occidentale.
Alla fine una monetina ha sancito l’assegnazione dell’Ema (l’agenzia europea del farmaco) ad Amsterdam piuttosto che a Milano. Poco importa se, sulla carta, Milano fosse la sede con il dossier migliore. Dopo la sconfitta si cerca, naturalmente, un colpevole: le regole, non si affidano 1,7 miliardi di euro e circa 3mila dipendenti con una monetina (fatto salvo che, se ci fosse andata bene nessuno avrebbe avuto da ridire); la malasorte di questo nefasto anno 17; i biscotti, veri o presunti, dei Paesi del Nord (gli italiani hanno ancora in mente il biscotto calcistico degli europei del 2004 di Svezia-Danimarca) con la collaborazione dei nostri cugini spagnoli. È mancato l’appoggio del governo, ha ipotizzato il governatore Lombardo Roberto Maroni spiegando che, se il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri fossero stati presenti al sorteggio, avrebbero potuto fare un maggiore lavoro di lobby e i voti di Germania e Spagna non sarebbero mancati all’ultimo minuto. Anche la Slovacchia, ha scritto qualcuno, è tra i sospettati di avere remato contro di noi per vendicarsi dell’esclusione perché molti dipendenti di Ema si erano dichiarati poco propensi a trasferirsi a Bratislava.
Eppure, tra tanti sospettati, nessuno ricorda una particolare categoria di dipendenti di Ema che si era dichiarata contraria al trasferimento in alcuni Paesi, tra i quali l’Italia, perché non sufficientemente gay friendly. La notizia risale al 29 agosto scorso, quando un gruppo di dipendenti dell’Agenzia europea per il farmaco appartenenti alla comunità LGBT ha scritto una lettera indirizzata ad Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo, a Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, a Jean-Claude Juncker presidente della Commissione europea e al Ceo dell’Ema Guido Rasi, manifestando preoccupazione per i Paesi in gara che non riconoscono il matrimonio omosessuale: “In particolare – si legge nella lettera – la legislazione di determinati Stati membri richiedenti non riconosce i matrimoni omosessuali o le unioni registrate dello stesso sesso. Di conseguenza, i membri del personale LGBT corrono il rischio reale di essere privati di una serie di diritti fondamentali associati al matrimonio o all’unione registrata”.
Gli estensori della lettera hanno inoltre richiamato la “decisione sulla procedura per il trasferimento delle agenzie dell’UE attualmente situate nel Regno Unito”, adottata dal Consiglio europeo il 22 giugno 2017, “che elenca sei criteri per il trasferimento dell’EMA. In particolare, il quarto criterio prevede un accesso appropriato al mercato del lavoro, alla sicurezza sociale e all’assistenza medica sia per i figli sia per i coniugi. Questo criterio riguarda la capacità di soddisfare i bisogni dei bambini e dei coniugi dell’attuale e del futuro personale per la sicurezza sociale e l’assistenza medica”. Vale la pena ricordare che la legge sulle unioni civili, approvata in Italia il 20 maggio del 2016, ha visto lo stralcio, tra mille polemiche, della stepchild adoption, ovvero la possibilità di adottare il figlio del partner dello stesso sesso. In Gran Bretagna invece, dal 2013, il matrimonio gay nel Regno Unito dà alla coppia gli stessi diritti del matrimonio eterosessuale. Dal 2002, con l’Adoption and Children Act, l’adozione da parte di coppie omosessuali è diventata legale in Inghilterra e Galles.
Nei Paesi Bassi la possibilità di adozione da parte di coppie dello stesso sesso è stata legalizzata assieme al matrimonio nel 2001; essa comprende anche l’adozione congiunta. Il parlamento olandese ha anche iniziato a permettere alle coppie dello stesso sesso di adottare bambini provenienti dall’estero nel 2005. Le coppie lesbiche possono inoltre ottenere l’accesso al trattamento di fecondazione in vitro. La lettera prosegue chiedendo che “la Task Force per il rilancio e la preparazione dell’operazione EMA consideri la legislazione degli Stati membri richiedenti il riconoscimento dei diritti LGBT” e che sottolinei “eventuali dubbi in modo appropriato” e che “la Commissione europea tenga pienamente conto delle preoccupazioni evidenziate nella presente lettera nella valutazione delle offerte”.