

Una ricognizione, in dieci punti, su Italia, Europa, Sud. Dieci idee per aprire una discussione online con gli iscritti di IDEA.
Il mondo è cambiato. In poco meno di trent’anni abbiamo assistito a eventi epocali come il crollo del Muro di Berlino e la riunificazione della Germania, la creazione dell’Euro, la scomparsa dell’Unione Sovietica, l’ascesa commerciale e politica di paesi-continente come Cina e India con relativa adesione al WTO, all’11 Settembre con due guerre in Medio Oriente e le cosiddette “primavere arabe”, che hanno reso assolutamente instabile un’area che va dall’Afghanistan fino alla Libia, attraversando il Corno d’Africa e l’Africa Centrale, con il fondamentalismo islamico che tenta, addirittura, di ergersi a Stato sovrano.
Il nostro Paese deve essere in grado di operare al centro di questi cambiamenti con ruolo da protagonista, bisogna uscire dal provincialismo che contraddistingue la politica italiana e assumersi le proprie responsabilità, con la capacità di dettare i punti di un’agenda rilevante negli equilibri europei e internazionali. Basti pensare al fenomeno epocale dei flussi migratori per capire quanto centrale, geograficamente e politicamente, sia l’Italia.
Un Paese, il nostro, che deve sempre programmare, progettare, ragionare, operare come “Sistema Italia”, se vuole davvero funzionare. E una destra riconoscibile dovrebbe partire da questa necessaria presa di coscienza, ricalibrando su questo la sua identità, i suoi obiettivi, un progetto condiviso.
Questa la sfida da raccogliere, alla quale cerchiamo di dare avvio con questo primo documento, un decalogo volto a fornire spunti di riflessione e dibattito su temi che riteniamo centrali, quei temi ai quali una forza politica deve saper dare risposte serie, chiare e concrete.
SOSTEGNO ALLA FAMIGLIA. A fianco alle battaglie di principio, sulle quali siamo in prima linea da tempo, per difendere le prerogative della famiglia naturale e distinguerla da altri tipi di unioni civili, è necessaria una seria politica di sostegno alle famiglie (soprattutto se numerose), alle giovani coppie, alle giovani madri lavoratrici. Servono interventi puntuali che rendano economicamente più sostenibile l’accesso agli asili e ne potenzino la presenza sul territorio (con particolare riferimento allo sviluppo all’interno dei luoghi di lavoro), che rendano più accessibile l’acquisto della prima casa per i giovani e al sostegno allo studio partendo dal merito come metro di valutazione. Mutui agevolati, corsie privilegiate per avere affitti a prezzi di vantaggio sul patrimonio immobiliare invenduto con lo Stato che si impegna in garanzia, potenziamento dei contratti rent-for-buy. Queste sono solo alcune delle innumerevoli soluzioni che si possono trovare. La necessità, oltre le tante parole, è quella di concretizzare un “pacchetto” di provvedimenti che portino in maniera organica a sostenere la famiglia, come futuro, come uno dei generatori di senso della vita.
INFRASTRUTTURE. La posizione geostrategica del nostro Paese ha sempre rappresentato uno degli elementi di maggiore vantaggio competitivo. Potenzialità che non è stata fino ad oggi sfruttata adeguatamente. Da anni procediamo con difficoltà sulla Torino-Lione, simbolo di un importante segmento di quella alta velocità e capacità che dovrebbe attraversare da est a ovest la Pianura Padana. Contestualmente non si riesce interconnettere, con un progetto organico e funzionale, i corridoi europei e la rete nazionale e locale, che va implementata, per dare risposte logistiche adeguate a quei distretti a forte concentrazione industriale presenti nella Penisola. Occorre razionalizzare seriamente (non con provvedimenti spot o con qualche slide) il sistema dei porti e degli aeroporti di importanza strategica, oggetto di una inspiegabile proliferazione che ha comportato costi logistici altissimi e ne ha causato l’irrilevanza a livello internazionale, spesso a causa di una colpevole mancanza di adeguate infrastrutture di servizio. In questo quadro, il nostro Meridione deve svolgere una funzione di piattaforma logistica nel centro del Mediterraneo, che ha come base naturale la Sicilia, e che permetterebbe al nostro Paese di accreditarsi come partner strategico dell’area nord africana e dell’intero Medio Oriente. Occorre concentrare gli sforzi economici su alcuni grandi progetti di infrastrutturazione dell’Italia; coinvolgere sempre più gli operatori privati (in collaborazione con i soggetti pubblici) sembra l’unica via per la realizzazione in tempi accettabili di grandi opere logistiche.
ENERGIA. L’energia sta a una nazione come il cibo a un essere umano. Senza autosufficienza energetica non c’è vera libertà, né autodeterminazione. Lo sanno bene gli Stati Uniti che hanno recentemente raggiunto questo obiettivo che inseguivano dagli anni Settanta, dopo la prima grande crisi petrolifera. Ricerca, sfruttamento delle risorse disponibili, capacità di essere hub per le fonti energetiche, diversificazione degli approvvigionamenti e dei produttori, tutto questo va messo in campo nel nostro Paese per uscire da una dipendenza che raggiunge il 90% del nostro fabbisogno. Un gap mostruoso che fa apparire quasi una barzelletta il tradizionale chiacchiericcio sulla nostra “sovranità nazionale”. Siamo riusciti, inseguendo in maniera irrazionale le rinnovabili, affossando le centrali a turbogas, ad amplificare il rischio blackout ed oggi siamo costretti a far ripartire la centrale a carbone di Genova a causa della chiusura di molte centrali nucleari francesi per motivi tecnici. Anche in questo ambito siamo riusciti a raccontarci una serie di favolette smentite dai fatti. Enel, nel 2015, ha prodotto energia elettrica da carbone per oltre il 52% e intanto nessuno pensa di ridare completa operatività alle nostre dighe. Non si può continuare in questo settore strategico, per un verso, ad inseguire chimere pagate a caro prezzo dagli italiani e dall’altra a non perseguire e valorizzare le potenzialità e le possibilità che, oggettivamente, possiamo mettere in campo. I paesi seri si pongono adeguatamente questo problema e orientano le loro politiche per renderlo meno gravoso possibile. Si pensi solo alla Francia, o al Giappone, e alla loro scelta per il nucleare. Scelta sicuramente forte ma che da l’idea di un approccio alla realtà diverso e che si riverbera anche in termini di immagine fuori dai confini nazionali. Uno stato, una nazione, non sono molto diversi da una persona e vengono valutati e giudicati più o meno credibili sulla base delle loro decisioni, specie le più difficili e complesse. Ogni nostra azione od omissione, da questo punto di vista, ci qualifica anche a livello internazionale.
SUD. Il Meridione deve diventare una risorsa per il Paese e assolvere al suo ruolo naturale di “cerniera” tra il Mediterraneo e l’Europa continentale. Non si può più continuare ad avere una nazione divisa in due. Ad ogni intervento di “normalizzazione” deve fare da contraltare un relativo investimento sostenuto da una iniziale, forte presenza dello Stato che sappia contrastare la criminalità organizzata. Ai tradizionali settori trainanti del Sud, come il turismo o l’agricoltura, occorre affiancare misure volte a dare un forte impulso verso nuove prospettive e nuovi ambiti di investimento. Serve mettere in campo immediate misure che rendano il Mezzogiorno un luogo in cui sia conveniente (e facile) investire, impiantare nuove realtà produttive e assumere forza lavoro locale. Il Sud deve divenire terreno fertile per un sistema universitario innervato nel Mediterraneo, un moderno centro di ricerca, un incubatore di sviluppo che possa competere con le eccellenze europee e internazionali.
RIORDINO DEGLI ENTI LOCALI. Le aree metropolitane rappresentano sotto molteplici aspetti i quadranti territoriali più dinamici, economicamente e culturalmente parlando, del sistema-paese. Anche sul piano internazionale, l’incidenza delle grandi città nell’equilibrio economico dei rispettivi paesi di appartenenza è predominante, tanto da far ipotizzare delle moderne “città-stato”. In Italia sono state individuate 14 aree metropolitane: dieci selezionate dal Parlamento e quattro da leggi regionali. Molte di queste sono fortemente disomogenee tra loro sia per vastità geografica che per popolosità. Le tre vere aree metropolitane italiane sono Roma, Milano e Napoli, cui si potrebbe aggiungere qualche altra realtà. Ma ne risulterebbe comunque un numero molto contenuto rispetto all’attuale. Peraltro Roma, in qualità di Capitale, dovrebbe avere una normativa ad hoc che possa renderla più autonoma e possa facilitare un dialogo diretto con lo Stato (come avviene per le altre capitali europee e occidentali). Occorre poi affrontare il grande tema delle periferie sempre più degradate, senza controllo, vittime di un pericoloso processo di ghettizzazione che le rende totalmente sconnesse dal resto della città anche quando geograficamente situate in zone centrali del territorio urbano. In secondo luogo, non è da sottovalutare la grave insufficienza di infrastrutture materiali e immateriali, che spesso rappresentano un ostacolo insormontabile allo sviluppo e all’attrazione di nuovi capitali e investimenti.
RIFORMA DELLO STATO. Il processo di riforma dello Stato, come detto in varie occasioni negli scorsi mesi, non si deve arenare con la bocciatura referendaria del testo Renzi-Boschi. Il nostro NO a quel testo, alle gravi mancanze, superficialità e inesattezze di quella modifica costituzionale – lo abbiamo affermato sin da primo istante – era un NO riformatore. Un NO che spingeva al miglioramento e all’avanzamento di nuove proposte più serie e concrete. Si possono oggi differenziare due percorsi possibili: uno a breve e uno a medio termine. Nell’immediato si possono sfruttare i mesi che ci separano dalla fine della legislatura per dare ai cittadini un primo e chiaro segnale di attività. Si possono ridurre il numero dei parlamentari in modo equilibrato all’interno delle due Camere (da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori) per garantire efficienza e rappresentatività del parlamento, dando contemporaneamente un forte segnale di taglio dei costi della politica. Nel medio termine, ovvero nella prossima legislatura, si dovrà mettere mano senza indugi al bicameralismo paritario, creando un vero senato delle autonomie e ripartendo con chiarezza le competenze tra stato e regioni. Occorrerà senz’altro eliminare gli enti inutili e improduttivi (il Cnel è soltanto uno di questi) e rendere più moderno e omogeneo con le esigenze odierne il sistema di pesi e contrappesi tra i vari poteri dello stato.
IMMIGRAZIONE. Se si osserva un planisfero si può immediatamente valutare l’enorme differenza di dimensioni territoriali e popolosità che passa tra i Paesi che possono vantare una stabilità democratica e i continenti in cui regna perlopiù il caos, in balia di guerre civili, di fondamentalismi, di dittature. Pensare che nell’epoca della globalizzazione sia possibile governare tale complessità attraverso la logica dell’accoglienza o del semplice controllo delle frontiere (nazionali, nemmeno europee) equivale ad essere degli utopisti. Questo fenomeno epocale, che si presenta oramai quotidianamente innanzi ai nostri occhi, e che temiamo sia solo all’inizio, non si può certo risolvere con interventi unilaterali, con la politica dell’ingresso indiscriminata o costruendo qualche muro qua e là. Tutto ciò ha una sola via per essere ricondotto ad un minimo di ordine: un’azione collettiva (continentale e non solo…) in loco che possa far intravedere prospettive di crescita dei Paesi interessati dall’esodo di massa.
EUROPA. Il realismo ci dice che dinanzi alle sfide della globalizzazione la capacità di avere politiche strategiche comuni a livello europeo, potrebbe essere la scelta vincente. Ma, ad oggi, cosi non è stato ed in questo contesto indefinito e incerto, non possiamo di certo auspicare l’indebolimento dello stato nazionale. L’Europa non ha bisogno di stati nazionali deboli, ma viceversa, di stati nazionali forti capaci di integrare le proprie specificità, soprattutto nei settori strategici. Se l’Europ, oltre a rappresentare un grande mercato comune, avesse una vera visione comune in questi ambiti rappresenterebbe una valida (e credibile) risposta alle sfide che ci attendono nei prossimi anni. La dimensione nazionale, peraltro logorata da una serie di localismi fine a se stessi, rischia, lasciata a se stessa, di essere solo un paravento ideologico elettorale, soprattutto per un Paese come il nostro con evidentissimi deficit economici e strutturali. Il futuro si potrà tentare di governare solo se sapremo condurre una battaglia al rialzo per l’Europa, una battaglia da portare avanti al fianco degli altri Paesi continentali contrastando con forza chi, come i crescenti movimenti euro-scettici, vorrebbero convincerci che l’unica soluzione per l’UE sia il suo smantellamento. Stati nazionali forti ed Europa forte non possono e non devono essere una antinomia ma la “conditio sine qua non” senza la quale non si può pensare di affrontare ciò che già oggi si para dinanzi ai nostri occhi. E’ infatti di tutta evidenza che una Italia debole non servirebbe all’Europa come una Europa debole indebolirebbe fortemente il peso della nostra dimensione nazionale. Per iniziare a rapportarci correttamente con l’Europa si potrebbe cambiare una legge elettorale europea che sembra più preoccupata di inviare a Bruxelles dei campioni di preferenze che personalità selezionate per il loro merito e la loro professionalità.
RENDERE IL PAESE SICURO. La frequenza e la violenza con cui il nostro Paese è stato colpito da eventi sismici negli ultimi anni deve far riflettere sull’urgenza non solo di ricostruire e ridare vita ai centri urbani danneggiati (si pensi a L’Aquila, ad Amatrice, a Norcia), ma anche di prevenire mettendo in campo un piano speciale di messa in sicurezza di tutto il nostro immenso patrimonio storico-culturale-immobiliare. E’ certamente un paragone forte: dobbiamo diventare come il Giappone, dove le scosse sismiche non possono più causare morte e distruzione. Tutto ciò è reso senz’altro più complicato dalle origini storico-architettoniche dei nostri borghi, dei nostri piccoli comuni e delle nostre città. Proprio per salvare le piccole realtà i borghi, i centri storici è indispensabile che questo piano venga attuato. Proprio questi, infatti, in caso di inagibilità rischiano di essere abbandonati e di essere lasciati morire. Il centro storico de L’Aquila, oggi quasi spettrale, ne è un esempio. Cercheremo di unire conoscenze tecniche ed esigenze dei cittadini per evitare che ciò accada di nuovo.
SEMPLIFICAZIONE BUROCRATICA-FISCALE. Probabilmente il maggiore degli ostacoli alla crescita economica del nostro Paese. Vastissimo il campo nel quale si deve agire: dall’eliminazione della “zona grigia” delle competenze concorrenti tra Stato e Regioni che provocano una perenne incertezza del diritto, ai contenziosi con Equitalia e con le amministrazioni locali, fino ad arrivare alla eccessiva pressione fiscale e alla mancanza di trasparenza tra cittadino e amministrazione pubblica. Una forte riduzione della tassazione, inoltre, non può prescindere da una serie di provvedimenti (attesi ormai da anni) altrettanto concreti di riduzione della spesa pubblica. Il rapporto tra cittadino (soprattutto se operatore economico) e organi dello Stato deve essere ribaltato: non è più accettabile che in caso di contenzioso l’onere della prova – e relativi costi – siano a carico del singolo. Non è più pensabile che nel nostro Paese centinaia di aziende e attività commerciali chiudano i battenti ogni giorno a causa della insostenibilità delle continue imposizioni burocratiche e oneri dovuti allo Stato. Troppo spesso i nostri artigiani, commercianti, liberi professionisti, vedono il loro lavoro quotidiano bloccato da controlli e ispezioni continue, dalle quali non solo devono difendersi per dimostrare la regolarità del loro operato. E’ diritto dei cittadini poter avere la certezza dell’ammontare degli oneri dovuti allo Stato, di poter utilizzare in compensazione i crediti che molto spesso essi hanno nei confronti delle Amministrazioni pubbliche (e per i quali il pagamento risulta atteso da anni), oltre che – per esempio – avere un limite massimo di accertamenti cui possono essere sottoposti nell’arco dell’anno. Il raggiungimento di questi tre semplici obiettivi rappresenterebbe già una rivoluzione per il nostro Paese. Iniziamo da qui.
(A cura di Vincenzo Piso, parlamentare di IDEA)