Signor Presidente, vorrei mettere a punto alcuni elementi, che emergono dall’intervento del senatore Minzolini, in maniera possibilmente puntuale. Per quanto riguarda il primo e più importante, ringrazio il senatore Minzolini perché ci ha richiamato alla lezione dei Padri costituenti e ci ha ricordato che nell’ordinamento le prerogative di quest’Aula – le prerogative del Senato – non sono state pensate come privilegi, ma come un elemento di un equilibrio costituzionale che in quel momento storico, dopo l’uscita dal Ventennio, offriva un ambito di autonomia al potere giudiziario difficilmente riscontrabile in qualsiasi altro ordinamento costituzionale.
Un ambito di autonomia giustificato per come quel potere era stato trattato ed era stato sottomesso al potere esecutivo durante i venti anni precedenti. All’interno di un equilibrio costituzionale – perché le Costituzioni sono equilibrio – quell’incredibile autonomia veniva per l’appunto in qualche modo “equilibrata” e condizionata da garanzie particolari che venivano offerte ai rappresentanti del popolo. Era un modo per tenere in equilibrio due poteri, non per dare delle prerogative speciali, e tantomeno dei privilegi, a deputati e senatori. L’equilibrio costituzionale è un problema sempre attuale, che dovremmo sempre tener presente e dobbiamo tener presente anche in questa occasione.
Il secondo elemento che viene fuori dalle parole che abbiamo udito e da tutta questa vicenda è il rapporto tra i magistrati e la politica, sul quale tra breve ci interrogheremo. Io credo che ci siano tutti gli elementi per evitare gli eccessi di diverso segno con i quali ci stiamo confrontando in questi giorni. Da una parte far finta che questo problema non esista, laddove abbiamo visto che in vicende come questa il problema si pone, magari a volte anche per conseguenza non voluta, ma oggettivamente si pone.
Dall’altra parte, io credo che sia altrettanto da criticare il proposito di privare di un mestiere chi, da magistrato, entra in politica, in questo modo condizionandolo di fatto a dovervi rimanere obbligatoriamente.
Io credo vi sia una opzione differente, per la quale chi fa la scelta, da magistrato, di entrare in politica, può poi trovare una degna collocazione all’interno della pubblica amministrazione in una funzione differente, salvaguardando il fatto di avere vinto e superato un concorso e, allo stesso tempo, di avere assunto, in un momento della propria vita, per ragioni anche nobili, una posizione di parte che oggettivamente lo condiziona e che gli rende impossibile tornare a svolgere lo stesso medesimo lavoro che aveva svolto precedentemente.
Questi sono elementi di sfondo. Poi vi è un dato che invece ci richiama direttamente a questa vicenda e al voto di oggi. Il voto che noi abbiamo espresso qualche tempo fa ha avuto un fortissimo significato politico. Delle parole del senatore Minzolini, ciò che più condivido è che bisogna in tutti i modi evitare che quella di oggi sia vissuta come una sorta di partita di ritorno di quella che si è svolta alcune settimane fa. Noi ci troviamo di fronte a un dato, a una lettera di dimissioni che è stata volontariamente scritta, ma ci troviamo anche di fronte alla circostanza per la quale un accoglimento di quella volontà possa essere interpretata come una partita di ritorno.
Signor Presidente, oggi noi riusciamo a comprendere e a scoprire anche la saggezza della tradizione parlamentare, perché i Parlamenti e le istituzioni sono passione, ma sono anche tradizione. E questa tradizione, prima di metterla sotto i piedi, bisogna ben considerarla. C’è una vecchia consuetudine per la quale, quando un collega presenta volontariamente le dimissioni, l’Aula la prima volta le respinge, la seconda le accetta. E questo proprio per evitare che quell’atto possa essere politicizzato.
Questa è la ragione per la quale, personalmente, io oggi voterò contro le dimissioni del senatore Minzolini, pronto a votare a favore se egli reitererà il gesto di volere dimettersi.
[L’intervento in Senato di Gaetano Quagliariello]