L’intervista di “Tempi” all’onorevole Eugenia Roccella.
«È una piccola apertura. Come piccolo, piccolissimo è il gruppo che sta cercando di impedire che la proposta di legge sul testamento biologico diventi una legge sull’eutanasia: una legge cioè che consente di togliere idratazione e alimentazione, e che non tutela la libera decisione, in scienza e coscienza, del medico». Sono passati dieci anni dalla morte di Piergiorgio Welby, otto dalla sentenza sul caso Englaro, tre dal deposito della legge di iniziativa parlamentare dell’Associazione Luca Coscioni. E il 26 gennaio la Commissione Affari Sociali della Camera, al lavoro sulle Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari (Dat o Testamento biologico, un testo che è il frutto della sintesi di 16 diverse proposte di legge presentate in Commissione) ha approvato l’emendamento al primo comma dell’articolo 1 introducendo il concetto di “tutela della vita” in capo a una legge «superficiale e mal scritta, pessima persino sul piano tecnico».
Eugenia Roccella, parlamentare Idea e sottosegretario alla Salute all’epoca del caso Englaro, fa parte di quel tenace gruppo trasversale di cattolici che aveva chiesto con forza il richiamo al principio del riconoscimento e tutela della vita umana quale diritto inviolabile ed indisponibile, anche nella fase terminale dell’esistenza e nell’ipotesi in cui la persona non sia più in grado di intendere e di volere ed anche rispetto all’interesse della società e alle applicazioni della tecnologia e della scienza. Ora l’incipit del provvedimento suona così: «La presente legge, nel rispetto dei princìpi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, tutela la vita e la salute dell’individuo e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge».
Onorevole, si può parlare di apertura a chi teme derive eutanasiche o no?
Sì, contando che non era scontata, e che molti dei nostri emendamenti chiedevano che venisse inserita all’inizio della legge una posizione di principio sul favor vitae. Ricordiamo che persino la legge sull’interruzione di gravidanza fin dal primo articolo recita «lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio», un richiamo al valore della maternità e della vita nascente che sembrerebbe contraddittorio, ma che è invece necessario per sottolineare che l’aborto deve restare un’eccezione e non un mezzo per controllare le nascite. Qualunque testo verrà approvato, la legge sul testamento biologico ha già un fortissimo orientamento eutanasico ed è necessario preservare l’impronta che perfino la legge finora più divisiva sulla vita, quella sull’aborto, ha mantenuto: confermare cioè che il Servizio sanitario nazionale è orientato al favor vitae.
Qual è nucleo della legge e quali sono i punti chiave su cui state lavorando per impedire che la proposta di legge sul testamento biologico diventi una legge sull’eutanasia?
Sono tante le questioni, le più importanti riguardano la vincolatività alle Dat per il medico e la possibilità di sospendere idratazione e nutrizione, che non sono terapie ma sostegni vitali, in qualunque modo siano somministrati. Il testo, lo abbiamo detto più volte, è superficiale e mal scritto, pessimo sul piano tecnico, sono stati presi sotto gamba tutta una serie di problemi che nella legislatura scorsa con il testo Calabrò (che si fermò alla Camera, ndr) venivano affrontati in maniera approfondita e dettagliata. L’articolo 1 dell’attuale legge stabilisce che il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente e in conseguenza di ciò è esente da responsabilità civile o penale. Significa che io paziente posso chiedere qualunque cosa e che il medico è vincolato a fare quello che dico io: capite bene che questa impostazione fa saltare la ratio del Servizio sanitario nazionale. Si fa un grande parlare di obbligatorietà dei vaccini, con questa legge si sta andando nella direzione opposta, non solo verso la distruzione del principio di professionalità e deontologia del medico – che da professionista che agisce “in scienza e coscienza” (che in questo testo non viene mai citata) diventa un mero esecutore delle scelte del malato –, ma anche verso una situazione di sanità assurda. La vincolatività diventa ancora più evidente nel momento in cui nel testo non si parla più di “dichiarazioni” bensì di “disposizioni anticipate di trattamento”: la lingua non è acqua, se io dichiaro vale poi anche la libertà del medico, se io dispongo il medico esegue. Non solo, nel testo è in gioco la sospendibilità dell’idratazione e dell’alimentazione che secondo noi, da sempre, non sono trattamenti medici e pertanto non sono sospendibili.
Sulla discussione quanto pesano i fatti di cronaca (l’ultimo, il caso di dj Fabo che ha rivolto al presidente Sergio Mattarella un appello affinché intervenga sul fine vita) e la sentenza sul caso Englaro?
La sentenza sul caso Englaro fu studiata a tavolino, è stato detto dagli stessi protagonisti della vicenda, affinché venisse consentito allo Stato di poter dare la morte. Il punto è questo: lo Stato può farlo? Anche se richiesta, può dare la morte? Questa possibilità ha enormi implicazioni e apre a tutto: o la vita è sacra o possiamo arrivare alla pena di morte. La battaglia che si fece arrivò fino al conflitto tra il presidente del Consiglio Berlusconi e il presidente della Repubblica Napolitano, che non firmò il decreto del Consiglio dei ministri salva-Eluana (che in quei giorni stava morendo per denutrizione) dicendo che non c’erano i caratteri di necessità e urgenza. Ribadendo l’urgenza del provvedimento abbiamo tentato quindi di approvare in parlamento un disegno di legge che recepiva il testo del decreto. Purtroppo quando arrivammo in aula al Senato giunse la notizia che Eluana era morta. Quel tentativo fallì tuttavia ebbe un peso fortissimo nella storia del governo e dello Stato, tant’è che non ci furono più sentenze in materia. La battaglia del governo di allora sbarrò il passo a una strada che adesso è stata riaperta. Questa legge è il frutto di un tentativo tutto politico che passa attraverso la necessità e l’urgenza di consolidamento dell’area di sinistra: tutte le leggi di Renzi sono state smontate tranne quella sulle Unioni civili, la cosa più semplice per la sinistra è quindi oggi andare avanti sulla strada dei cosiddetti “nuovi diritti”.
Nell’articolo 2, dove si parla di consenso informato, sono stati aggiunti ai familiari coinvolti nella relazione di cura anche «la parte dell’unione civile o il convivente».
Lo ripetiamo fin dall’inizio della battaglia sulla legge Cirinnà: all’interno del Codice Civile tutti i diritti di cui si è discusso, a partire dalla possibilità di assistere il malato in ospedale, sono già garantiti e assicurati da modifiche e aggiustamenti alle leggi per i conviventi, siano omosessuali o eterosessuali. La sinistra ha voluto ribadire nel testo una dichiarazione di principio che però non cambia la realtà.
I medici deputati in Commissione scrivono una lettera aperta paventando la trasformazione del medico da professionista a esecutore meccanico delle scelte del malato. Perché l’Ordine non prende posizione?
Mi meraviglio che l’Ordine ancora non si sia reso conto della gravità della questione. O si aspetta che la battaglia la facciano solo i parlamentari o di fatto avalla una posizione di comodo: una deresponsabilizzazione del medico sul fine vita – è quello che c’è scritto ora nel consenso informato, dove si solleva il medico da qualunque responsabilità penale e civile – porterebbe a una diminuzione dei contenziosi. A scapito, certo, della valorizzazione delle competenze e della libertà del professionista che agisce in scienza e coscienza e della dignità professionale.
Quando si andrà in Aula?
Questa legge era stata calendarizzata senza riserva il 30 gennaio. Proprio la protesta del nostro gruppetto ha prodotto un allungamento dei tempi: il presidente della Commissione ha scritto alla presidenza della Camera e ha chiesto tempo almeno fino al 20 febbraio. Gli emendamenti da tremila sono già stati ridotti a circa 280, ma le questioni da affrontare sono tante e difficili. Abbiamo davanti un mese importante per far fruttare il dibattito.
(Tratto da Tempi, intervista di Caterina Giojelli)