Segnaliamo l’articolo “Ines come Charlie Gard: se anche la Francia impone la morte con sentenza” a firma della parlamentare di IDEA, Eugenia Roccella, per l’Occidentale.
Ines vive in Francia. Ha solo 14 anni, è in stato vegetativo persistente – una definizione superata scientificamente ma che fa tanto comodo ai giudici quando devono sospendere i trattamenti di sostegno vitale – e ha i giorni contati, perché anche a lei, come al piccolo Charlie Gard, vogliono staccare l’apparecchio che le consente di respirare. La chiamano “sospensione delle cure”, ma non ci sono terapie particolari da interrompere, lasciando che la malattia segua il suo corso: si tratta invece di togliere a Ines i sostegni che la mantengono in vita, e cioè la ventilazione, e poi alimentazione e idratazione. Ma nel suo caso basterà staccare il ventilatore e Ines morirà velocemente.
Il Consiglio di Stato francese ha detto l’ultima parola, assecondando i medici e contro il parere dei genitori: i danni neurologici della ragazzina, trovata in arresto cardiaco il 22 giugno dello scorso anno in casa sua, sono gravi e irreversibili, una situazione definita senza speranza dai medici già un mese dopo quel tragico infarto. Il 21 luglio successivo, infatti, una decisione collegiale dei dottori dell’ospedale di Nancy aveva stabilito che la ventilazione e la nutrizione artificiale per la ragazzina significavano una “ostinazione irragionevole”, e che quindi andavano interrotte. I genitori si oppongono e fanno ricorso al tribunale amministrativo di Nancy che il 7 dicembre scorso conferma invece il parere dei medici, e il giudizio definitivo del Consiglio di Stato ha concluso nei giorni scorsi che la decisione presa è corretta, perché risponde “a esigenze fissate dalla legge e non è quindi in contrasto con il rispetto di una libertà fondamentale dell’individuo”. Il riferimento è alla legge sul fine vitaClayes-Léonetti, del 2 febbraio 2016, che prevede la possibilità di sospendere i trattamenti quando “appaiano inutili, non proporzionati e non abbiano altro effetto che il mantenimento artificiale della vita”. Il pronunciamento dei giudici riguarda quindi solo la correttezza della procedura seguita dai medici, confermando che è coerente con la legge dello stato.
I genitori, di fede musulmana, si oppongono con decisione: “Ines è nostra figlia e non figlia dei medici” dicono, chiedendo che venga rispettata la potestà genitoriale. E la madre ha dichiarato: “Qui non ci sono certezze. Secondo meInes è cosciente in alcuni momenti. Si sta autorizzando un crimine”. Ma il criterio adoperato è identico a quello del caso Gard, cioè il “miglior interesse”: in nome del preteso “miglior interesse” dei minori, che sarebbe quello di morire, si scavalca la responsabilità dei genitori, soggetti troppo intimamente coinvolti per prendere, secondo i medici e i magistrati, decisioni serene e obiettive.
Una volta che i sostegni vitali vengono considerati come terapie sottoposte alla cosiddetta “libera scelta”, e che il criterio del favor vitae è distrutto, il risultato è inevitabile: tutto può essere considerato accanimento terapeutico, tutto è soggetto a decisioni di terzi, e paradossalmente della “libera scelta” non rimane più nulla. Saranno sempre più spesso i giudici a decidere della vita o della morte di persone non in grado di dare il loro consenso, a prescindere dalla volontà espressa dai familiari. Il criterio? Non il fatto che una persona sia un malato terminale, che stia per morire, ma che non sia più autonomo, che non sappia più comunicare con l’esterno.
Ines non è in fine vita. Soffre di una malattia autoimmune, che però non è letale. La sua prognosi non è la morte a breve termine. La decisione di interrompere la ventilazione, cioè di farla morire, si basa sul fatto che le lesioni cerebrali sono, secondo i medici, irreversibili (e sull’irreversibilità definitiva dello stato vegetativo di una ragazzina di 14 anni, stabilita dai medici appena un mese dopo l’arresto cardiocircolatorio, sia concesso di esprimere qualche dubbio anche a chi non ne ha visionato la cartella clinica). Ma Ines non è nel cosiddetto stato di “morte cerebrale”. E’ una gravissima disabile, in stato vegetativo. E per questo è considerata una non-persona, qualcuno che non vale la pena di assistere e curare, una candidata (sempre nel suo miglior interesse, per carità) alla morte.
L’abbiamo detto altre volte, e lo ripetiamo: la pessima legge appena approvata sul biotestamento, in Italia, potrebbe tranquillamente portare a casi come questo. Tra l’altro, l’espressione “ostinazione irragionevole”, presente nell’art.2 della legge italiana (“il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure”) è un clamoroso copia e incolla dalla legge francese.
Se non avremo in breve tempo decisioni dei medici come quella su Ines, con il classico strascico dei ricorsi ai tribunali, dovremo solo ringraziare la cattiva prova data dai nostri legislatori, che sono riusciti a mettere insieme un testo che non funziona (basta leggere la sconfortata pagina dedicata alla legge da Repubblica il 31 dicembre: “Come è difficile fare il biotestamento”). Grazie a questo, ci sarà un ritardo nell’applicazione della legge, e il suo assorbimento nel contesto giuridico e medico italiano avverrà molto più lentamente di quanto sarebbe potuto essere. Ma se non siamo capaci di tornare velocemente indietro, di mettere ancora al centro il favor vitae, di ricordarci che ogni persona è unica e ogni vita vale la pena di essere vissuta, i casi come quello di Charlie, e ora come quello di Ines, saranno inevitabili, e quel che è peggio, avverranno nel silenzio e nell’indifferenza.